Le melanzane di un colore chiaro, lilla, e di forma estremamente allungata, un po’ attorcigliate, così tenere e dolci rispetto alle nostre; i grossi cavoli cinesi o i pak choy, simili a coste giovani ma diversi nel gusto; le okra, dette anche gombo o bamià, secondo il Paese, o anche lady’s fingers, perché sono piccole come dita femminili, e assomigliano un po’ alle zucchine; le batate, patate dolci, bianche o rosse; e poi altri tuberi, foglie, erbe aromatiche, frutti: bontà vegetali di provenienza esotica che fino a qualche anno fa si potevano gustare solo in forma disidratata, surgelata, confezionata, oppure grazie a imprese specializzate nell’importazione. Dalla Cina, dall’India, da Egitto e Marocco, da diversi paesi del Sudamerica arrivavano le prelibatezze che entravano nei piatti dei ristoranti etnici (ma anche italiani: i grandi chef usano volentieri nuovi ingredienti), milanesi e non solo, e che pian piano sono entrati anche nell’uso e nelle ricette domestiche, perché i consumatori si sono abituati a riprodurre in casa le specialità straniere più amate. Grazie a tutto questo, e con la complicità del cambiamento climatico che ha reso possibile colture prima inimmaginabili a queste latitudini, in Lombardia si producono ormai quasi tutti i vegetali “etnici” che il mercato richiede. Perfino i famosi e ricercatissimi funghi shiitake, dalle proprietà straordinarie. Tutto viene prodotto a pochi chilometri da Milano. Su TuttoMilano, in edicola con la Repubblica il 14 gennaio, i dettagli di questa interessante tendenza.