Sapessi com’è strano
sentirsi un po’ vegano

Anno nuovo, momento magico per formulare progetti, propositi, intenzioni. Non è un caso che gennaio sia stato scelto come mese vegano. Lo hanno fatto i londinesi Jane Land e Matthew Glover, nel 2014, per cui questa è la decima edizione di Veganuary (sintesi tra vegan e january). L’idea è ottima non solo perché a gennaio si inizia l’anno e si vorrebbe iniziare molto altro. Ma perché viene proposta come una prova, una cosa da fare per un mese: mangia vegano, ti mandiamo tante informazioni e tante ricette ogni giorno di gennaio. Così nessuno si sente obbligato a fare niente, lo vive come un simpatico esperimento. Un modo per riequilibrare l’alimentazione dopo gli eccessi di Natale e Capodanno, per provare cibi nuovi e un nuovo stile di vita, per dare una mano al mondo. Con una dieta vegana si contribuisce a raggiungere molti obiettivi virtuosi: ridurre la produzione di anidride carbonica e lo spreco di acqua, eliminare molti inquinanti dal sistema idrico e, assolutamente non ultimo, salvare la vita di tanti animali. In più, consideriamo quanto sia unificante dal punto di vista religioso: nessuna dottrina vieta di mangiare vegetali, al tavolo vegano possono sedere ebrei e buddisti, induisti e musulmani, eccetera. Da Londra l’idea si è estesa a tutto il mondo (in Italia da qualche anno ha raccolto il testimone Essere Animali, associazione nata a Milano, d cui pubblichiamo una foto) e le adesioni a Veganuary sono in continua crescita ovunque. Per curiosità, la classifica delle nazioni vede l’Italia in quinta posizione dopo Stati Uniti, Regno Unito, India e Germania. E sorprendentemente nella lista mondiale delle città ci sono Santiago al primo posto, Londra al secondo e Milano al terzo. Certamente non vuol dire che in queste nazioni o città si trovi il maggior numero di vegani, perché bisogna considerare che è una campagna mediatica e non tutti possono averne notizia, specie se vivono in zone arretrate del globo.
Ma la precisazione dà anche lo spunto per sottolineare un altro aspetto: mangiare vegano non significa utilizzare alimenti strani, scovare rarità. Specialmente per l’Italia, con una tradizione gastronomica che affonda le radici nella terra e nei suoi frutti e che ha la fortuna di avere una terra fertile e dei frutti meravigliosi. Quindi, per intenderci, la maggior parte delle ricette regionali italiane sono vegane, dalla pasta alla pizza, dalla caponata alla panzanella. Però è divertente iscriversi alla newsletter e ricevere ogni giorno suggerimenti con ricette che pescano da tutto il mondo mescolando sapori e culture, con allegria e senza annoiarsi. In quelle italiane c’è il contributo di Silvia Goggi, medico nutrizionista, e Carlotta Perego, blogger di Cucina Botanica.  Quello che servirebbe ampliare è il resto del discorso: vegani a tavola è bello, ma poi? Come ci si veste? Che prodotti si acquistano per l’igiene personale e della casa? E le scarpe?
E’ interessante anche riflettere sul fatto che il veganismo non è un’invenzione recente, tutt’altro: esiste, in varie forme, da secoli. Pare che il termine, invece, sia stato coniato dal segretario di una sezione vegetariana inglese nel 1944: l’anno prima, nel Paese, si era diffusa la tubercolosi tra i bovini da latte e la scelta di escludere anche i latticini sembrò ancor più sensata. La parola è nata fondendo l’inizio e la fine di “veg-etari-ano”.
Buon Veganuary a tutti.